Neurofeedback Dinamico per mitigare lo stress e il burnout

Perchè ci stressiamo? Perchè nella società contemporanea spesso confondiamo l’essere con il fare e quindi ci è stato insegnato che noi siamo in virtù di quello che facciamo. Quindi il lavoro è diventato fondamentalmente la nostra definizione. Ci definisce in quanto esseri umani e da un’idea della nostra identità. Molti confondono chi siamo con il lavoro che facciamo. In realtà il lavoro è una fonte di sostentamento materiale, ma è un ambito in cui noi possiamo realizzarci e la necessità di trovare un lavoro che ci corrisponda sta crescendo con il passare delle generazioni.

Lo stress da lavoro è sempre più presente nella nostra quotidianità e spesso può capitare che, alcuni sintomi all’inizio sottovalutati, alla lunga possano diventare dei fattori di stress cronicizzati. È un’insieme di fattori individuali ma anche della stessa organizzazione aziendale che possono portare la persona a sperimentare un “distress” cronico che si manifesta con una sintomatologia a livello fisico, psico-emozionale, comportamentale, addirittura presentando dei “marker” rilevabile attraverso gli esami del sangue, come ad esempio la prolattina o il cortisolo che è l’ormone dello stress. Spesso questo accade quando il lavoratore non si sente in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative del loro datore di lavoro.

I sintomi più comuni comprendono la tachicardia, una stanchezza diffusa, una rigidità muscolare, improvvise sudorazioni, cefalee muscolo-tensive, emicranee; tutto questo accompagnato da sintomi cognitivi come una scarsa concentrazione, difficoltà a memorizzare nuove informazioni, un’irritabilità e un nervosismo diffuso.

Anche a livello comportamentale accadono dei cambiamenti come ad esempio l’aumento di sigarette nei fumatori oppure un aumentato consumo di alcool che in qualche modo fanno da compensatori, da calmieranti. Alcuni tendono a isolarsi o a manifestare non proprio degli attacchi bulimici, ma una fame nervosa che li fa mangiare più del dovuto. In altre persone potremmo trovare dell’impulsività che potrebbe avere come conseguenza errori lavorativi anche gravi.

Prima che questi sintomi possano raggiungere livelli elevati si può lavorare su sé stessi, cercando di avere più momenti di svago, di avere un’alimentazione corretta, cercare di coltivare relazioni appaganti soprattutto al di fuori dell’ambiente lavorativo, concedersi dei piccoli divertimenti disseminati durante la settimana.

Innanzitutto, però, bisognerebbe scegliere un lavoro che rispecchia le nostre attitudini: ognuno di noi ha le proprie ambizioni e aspirazioni. Chiaramente dovremmo fare spesso dei compromessi. La maggior parte delle persone che vedo nel mio studio, però, non sono contente, sono frustrate  di quello che fanno. Anche se guadagnano molto denaro, perchè l’essere umano ha bisogno di realizzare i propri sogni, le proprie ambizioni e le proprie attitudini.

Diverso è il discorso per quanto riguarda il Burnout. Sebbene non sia ancora classificabile come malattia dall’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), la Sindrome di “Burnout” è un fenomeno che influenza negativamente lo stato di salute di coloro i quali esercitano professioni di sostegno e di aiuto in qualsiasi campo, da quello socio-sanitario fino alla sicurezza.

Oggi però il fenomeno “burnout” si può riscontrare in qualsiasi organizzazione o azienda soprattutto in quei lavoratori che sono a contatto con il pubblico, sia liberi professionisti che dipendenti, e in molti casi si estende anche alla vita privata e si manifesta diversamente da persona a persona.

La sindrome di burnout è un insieme di sintomi particolari che sono stati identificati negli studi psicologici effettuati negli ultimi quarant’anni che portano sostanzialmente a una “disaffezione” da parte delle persone, una sorta di esaurimento in cui l’individuo si sente svuotato di energia emotiva. Pur avendo delle cause che si collocano esternamente all’individuo, le persone più a rischio sono i migliori, quelli più innamorati del proprio lavoro; sono quelli che si dedicano con maggior forza. Perchè? Perchè quando investi molto emotivamente su qualcosa è ovvio che rischi di più quando senti che questo qualcosa ti tradisce, senti che ti viene meno. Quanto più alta è l’asticella quanto è più facile farsi male se si cade a terra.

In origine, quando il termine fu inventato negli anni ’70, i lavoratori maggiormente a rischio erano i grandi manager: persone che si sentivano molto identificate con la propria azienda e laddove non riuscivano ad ottenere i risultati si sentivano talmente idenficati che percepivano essi stessi il fallimento. Quando poi il concetto viene poi preso in mano dalla celebre psicologa Cristina Maslach, lei ha notato che le persone colpite da burnout erano persone fragili, persone deboli, persone con bassa autostima e allora ci si chiede “dov’è il problema?”. Il problema non è tanto essere forti o deboli di carattere, ma bensì quando la soddisfazione di quello che si fa viene percepita in modo “mediato”, cioè attraverso qualcun’altro e per questo colpisce prevalentemente, almeno questo dice la letteratura classica, i professionisti d’aiuto perchè sentono la gratifica attraverso il riconoscimento altrui.

Parliamo quindi di medici, infermieri, operatori socio-sanitari ecc ecc.che hannno bisogno di vedere la qualità del lavoro svolto attraverso il riconoscimento altrui. Sappiamo bene, però, che la qualità del lavoro di un professionista a volte non può riconoscersi direttamente nella percezione da parte della persona aiutata.

Si parla molto spesso di empatia: quanto più tu sei coinvolto emotivamente con l’altra persona, quanto più tu rischi di uscirne a pezzi emotivamente.

Anche nell’ambiente domestico troviamo il “burnout”.. Poichè si parla di “lavoro domestico”, quando tale lavoro non viene riconosciuto dagli altri componenti della famiglia si arriva al “disammoramento”.

Il burnout si caratterizza per delle sindromi multiformi: paraddossalmente all’inizio ti impegni maggiormente e con più energia: questa sorta di “sovraimpegno” è la premessa che può portarti al burnout. Dovrebbe essere una fase che rappresenta una sorta di campanello d’allarme che dovrebbe portarti ad essere più realistico altrimenti corri un rischio.

Poi c’è invece una seconda fase che paraddossalmente è quella della riduzione dell’impegno. Dopo che la curva dell’impegno è salita come oltresoglia essa poi tende a scendere e va troppo sottosoglia. Quindi perdi voglia di fare, tendi a distaccarti dalle persone, dai colleghi e ti allontanti. È una fase di allontamento.

Poi c’è la terza fase che può avere due caratteristiche distinte: o l’aggressività o la fase depressiva. Il soggetto in fase tre di burnout può essere scambiato per un depresso o per una persona aggressiva, ma non è ne l’uno ne l’altro e non deve essere trattato come se fosse veramente depresso o aggressivo.

La fase successiva, la fase quattro, è addirittura una fase di decadimento cognitivo, decadimento dell’attenzione. È una fase in cui oggettivamente ti sembra di non ricordare le cose, ti sembra di perderti le parole. Le persone hanno paura di invecchiare. Ma l’invecchiamento non c’entra niente. È una fase in cui il tuo cervello sta andando un po’ in stand-by e ti sta dando dei segnali che se ancora una volta trascurati, possono portarti a  situazioni difficili per esempio sviluppare reazioni psicosomatiche. Puoi arrivare a un distacco importante che in alcuni casi, quelli più gravi, può addirittura portare a tentativi di suicidio.

Le cause del burnout possono essere principalmente di tre tipi:

  • condizioni interiori delle persone più dedite al loro lavoro;
  • condizini esteriori causate dalle aziende che non valorizzano le persone;
  • condizioni interiori ed esteriori che si sommano tra loro.

Perchè può essere utile effettuare sessioni di Neurofeedback Dinamico (Dynamical Neurofeedback® Neuroptimal®) su persone che hanno problemi di stress da lavoro correlato oppure di burnout? Perchè il Sistema Nervoso Centrale è normalmente in grado di gestire una grande varietà di stimoli esterni senza che essi creino danno. In alcuni periodi della vita di un essere umano questi stimoli possono essere troppo intensi o di lunga durata, oppure possono sommarsi tra loro, superando le capacità di adattamento del cervello. Queste situazioni, presenti in caso di stress o di burnout nei luoghi di lavoro, possono provocare una disorganizzazione del Sistema Nervoso Centrale e causare disagi sia psicologici che fisici. Ecco che il training con Neuroptimal® informa in tempo reale il cervello sul suo proprio funzionamento aiutandolo a riconoscere gli squilibri che si sono creati nel tempo. Questo “allenamento” permette al cervello di riorganizzarsi e massimizzare la sua latente capacità di autoregolazione generando benefici dal punto di fista cognitivo, emotivo e fisiologico.

Uno studio molto interessante a riguardo è stato presentato dalla dottoressa Nikki Sopchak, istruttrice e rappresentante Zengar, alla conferenza mondiale Neuroptimal® “Trasforming Lives” nel 2018 a Montreal (Canada). I risultati di questa ricerca hanno evidenziato che il gruppo di lavoratori che segnalavano punteggi di stress o di burnout sopra la media e che sono stati sottoposti al training con Neuroptimal® sono nettamente migliorati rispetto al gruppo “placebo”.

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