Il Counseling per sostenere il Caregiver

Il termine “caregiver” deriva dall’unione di due parole inglesi: “care” che significa “cura“e “giver” che “colui che dà“.

Il caregiver è quindi colui che dà cura, che accudisce e che dà assistenza ad un malato o ad una persona che ha perso totalmente o parzialmente la sua autonomia nel vivere quotidiano. Può essere un familiare o un professionista: nel primo caso lo fa volontariamente e gratuitamente per scelta o necessità.

Il caregiver, quindi, si occupa di soddisfare i bisogni primari della persona che assiste come per esempio occuparsi della sua igiene personale, della vestizione, della preparazione dei pasti, della somministrazione delle medicine ecc. Inoltre può interfacciarsi con le strutture sanitarie o dover accompagnare la persona a fare visite, controlli in ospedale o semplicemente a comprare dei vestiti o altre necessità.

In altre parole la persona che viene aiutata non è, nella maggior parte dei casi, in grado di usicre da sola, occuparsi delle faccende domestiche, curare sè stessa e questi sono i compiti che il caregiver è chiamato a fare.

Da fonti istat del 2015 si stima che i caregiver in Italia siano 7.300.000 e si prevede che possano negli anni continuare ad aumentare visto che il nostro paese è sempre più abitato da persone anziane.

Il caregiver è una figura di assoluta importanza e lo sarà sempre di più negli anni a venire; nella maggior parte dei casi  si tratta di donne (35%) con età media di circa 50 anni mentre per quanto riguarda gli uomoni si tratta di circa un 30%. Nel rimanente 35% dei casi si tratta di famiglie che, non potendo occuparsi del familiare, hanno deciso di rivolgersi ad una Rsa o ad una struttura specializzata.

La persona che viene aiutata invece è rappresentata per il 20% da un figlio/a,  per il 14% dal partner e per il 66% da un genitore.

Attraverso questo articolo voglio porre l’attenzione sulle problematiche e sulle fatiche che il caregiver è chiamato ad affrontare e di come il counseling può supportarlo in maniera efficace.
Le problematiche che incontra “colui che dà cura” sono rappresentate da tre dimensioni:

  1. a) la dimensione personale (esaurimento emotivo, depersonalizzazione, ridotta realizzazione

personale);

  1. b) la dimensione relazionale (rischio di isolamento, diminuzione socialità);
  2. c) la dimensione spirituale (difficoltà nel trovare un senso esistenziale, umano e spirituale).

Chi riveste questo ruolo è spesso gravato da un carico di fatiche che aumenta col passare del tempo in quanto il malato con l’avanzare dell’età sarà sempre meno autosufficiente. Si inizia con l’accorgersi che il proprio caro necessita di un accompagnamento in quelle attività che fanno parte della vita quotidiana come il fare la spesa, piuttosto che pagare le bollette, andare a fare una passeggiata. Ci si accorge che magari la persona inizia a perdere la memoria e ha la necessità di essere aiutata; man mano che la malattia avanza c’è la necessità di accompagnare la persona nel soddisfacimento dei bisogni primari (mangiare, bere, muoversi…).

I carichi di lavoro del caregiver vengono normalmente distinti in quattro categorie:

  • il carico oggettivo, cioè il tempo che il caregiver deve dedicare al malato e che necessariamente sottrae a sé stesso con tutto quello che ne consegue;
  • il carico fisico che è la fatica che fa chi si dedica al proprio caro prendedosene cura. E non

si parla solo di fatica fisica, ma anche psicologica. Basti pensare a chi si prende cura di un

malato di Alzheimer che deve necessariamente occuparsi di lui 24 ore su 24;

  • il carico sociale che è collegato al fatto che il caregiver deve rinunciare al tempo che prima

utilizzava per vedersi con gli amici, fare sport o altre attività, lavorare. Col passare del tempo si può sentire sempre più solo e isolato;

  • il carico emotivo che inizia immediatamente in quanto si assiste al cambiamento del proprio caro e non si conoscono le dinamiche che ne conseguono. Non si conosce la malattia che può dare molto fastidio e disturbare. I caregiver spesso lamentano meno energia, stanchezza

eccessiva, incapacità di recuperare le forze col normale riposo. I limiti fisici o emotivi vengono oltrepassati.

Sommando tutti questi carichi la situazione diventa ovviamente difficile da sopportare.

In base a tutto quello che ho fin qui descritto possiamo identificare i seguenti fattori critici nel “caregiver familiare”:

  • stress prolungato dovuto alle cure fisiche ed alle modificazioni dei ruoli precedenti alla malattia;
  • incessante supporto emotivo fornito al partner malato;
  • diminuzione della qualità della vita;
  • il vissuto emotivo dell'”essere in trappola”, come se ogni spazio personale fosse invaso;
  • sentimento di isolamento sociale;
  • gestione dei trasporti del malato, commissioni, compiti domestici.

Ecco che l’intervento di un counselor professionista può essere veramente utile per supportare il caregiver soprattutto nella gestione di queste dinamiche:

  • non accettazione della malattia;
  • mancanza di spazi e tempo per sé;
  • vissuti emotivi contrastanti;
  • vivere relazioni conflittuali con la famiglia;
  • avere difficoltà comunicative co la famiglia o con gli operatori dell’assistenza.

Inizialmente, di fronte ad una malattia di un proprio caro, ci possono essere delle reazioni iniziali di confusione, incredulità e negazione. In questa fase è importante aiutare la persona a prendere consapevolezza della malattia gestendo le varie reazioni emotive che possono scaturire da tale situazione. Successivamente si dovrà aiutare il cliente ad accettare la nuova situazione e il nuovo ruolo che egli dovrà eseguire, cioè quello del caregiver; piano piano sarà in grado di affrontare le proprie sofferenze e superarle.

Una caratteristica che accomuna molti caregiver è la “difficoltà di delega”, cioè la difficoltà di farsi aiutare da qualcun altro alleggerendo in questo modo  il suo lavoro nell’accudimento del proprio caro.

Un altro problema da gestire è la mancanza di spazi e di tempo per sé. Il caregiver fatica ad occuparsi di sé e questo può essere molto dannoso per la relazione con il malato. Un caregiver stanco e frustrato sarà sicuramente meno calmo, meno empatico con la potenzialità di diventare inefficace. Compito del counselor sarà quello di aiutare il cliente a immaginare nuovi scenari in cui si prenderà cura di sé, fissare degli obiettivi e poi passare all’azione.

Anche i sentimenti e il carico emotivo del caregiver non sono da sottovalutare. Spesso delusione e fallimento possono provocare rabbia, irritazione e nervosismo: in un primo momento egli si arrabbia con sé stesso, si percepisce impotente e incapace di risolvere i problemi. In un secondo momento il caregiver si può arrabbiare con il malato perchè è caduto in questa situazione oppure perchè si comporta in questo modo. Il counselor dovrà informare il cliente che è la malattia che genera questi comportamenti, e non il malato a non volersi impegnare a comportarsi diversamente.

Il counselor può essere di notevole aiuto anche nel gestire la comunicazione del suo cliente con gli altri membri della sua famiglia, ma anche con gli operatori del settore come medici, assistenti sociali, infermieri ecc ecc.

Se ti trovi in una situazione in cui devi gestire un tuo familiare che ha bisogno della tua cura e assistenza quotidiana non esitare a farti aiutare. Se stai bene e ti prendi cura di te stesso sarai in grado di aiutare il tuo caro più efficacemente: aiutare presuppone volersi bene. Chiamami ed insieme troveremo tutte le soluzioni e strategie necessarie per alleggerire il peso dell’accudimento.